Il Genepesca non è tornato in porto

18 Dicembre 2023

Seppi di questa cosa da Enrico, ero al telefono con lui quando disse: “sai che il Genepesca è collassata? È un vero peccato”.
Già, il Genepesca. Il primo esemplare della flotta di pescherecci d’altura costruita per permettere all’Italia di approvvigionarsi in Atlantico. La guerra però aveva disposto gli eventi in modo differente e la nave era stata messa a fare la spola tra l’Italia e il Nord Africa. Terminato il conflitto al Genepesca era stato dato il permesso di rientrare al porto di Livorno. Il ritorno a casa si sarebbe concluso felicemente se alle Secche di Vada, la nave non fosse incappata in una mina. L’esplosione che ne scaturì fu così violenta da strappare di netto la prua, ma miracolosamente tutti i 31 membri dell’equipaggio uscirono illesi da questo disastro. La nave era così finita a riposare su un fondale di 30 metri.

Per me non era un “ferro” come gli altri, perché vedete, era stato il primo relitto su cui era sceso. Era il 2001 e non avevo che poche decine di immersioni nel logbook, .
Chiudendo la telefonata avevo pensato che il cedimento fosse un peccato, nei miei piani c’era l’idea di fotogrammare il Genepesca nella sua interezza, ma ero chiaramente arrivato tardi.
“Senti, ma si è sfasciato anche lo scafo?”, “No, lo scafo ha tenuto, è solo collassata la zona sotto il ponte di comando”. Magari poteva ancora valere la pena di riprendere quello che era rimasto.

Mi ero messo d’accordo con Enrico del Diving Bolle D’Azoto perché mi tenesse aggiornato sulle loro uscite sul relitto. Da dove si trovava il diving, a Chioma, era possibile arrivare sul posto con una quarantina di minuti di navigazione, purché le condizioni del mare fossero buone.


E’ il primo di Maggio, la partenza è alle 8:00 di mattina dal moletto del Chioma. Il tempo è buono, ma l’aria è fredda, molto fredda. I subacquei a bordo del gommone, molti dei quali sono volti conosciuti, si spostano a poppa, si “appoppano”, per permettere al gommone di navigare con la prua bella alta. Il fatto di raggrupparsi ha anche l’effetto collaterale di creare un effetto “gregge”. Siamo tutti seduti belli attaccati sui tubolari e fa un po’ meno freddo.


Io sul tubolare di sinistra, l’ultimo posto disponibile, accanto ad Enrico che è al timone.
Enrico sa quello che voglio fare e mentre siamo in navigazione mi chiede: “Ma allora quanto hai pianificato?”. Ho fatto un po’ di conti con il gas, ma devo dire di non avere un’idea precisa. Il relitto è su un fondale di 30 metri circa, il che vuol dire che la maggior parte dell’immersione avverrà ad una media di 25 metri; anche con permanenze oltre la mezz’ora accumulerei solo un manciata di minuti di decompressione. Guardo gli altri in barca, guardo il tempo. Penso che il gommone è partito in perfetto orario, non abbiamo ritardo da assorbire e devo fare almeno 3 giri completi sul relitto. Questo è lungo 55- 60 metri e largo una dozzina. “Penso un’oretta circa, più o meno”, rispondo.
Enrico è un entusiasta, vedo che gli scappa un sorrisetto “Tu vai tranquillo, ti faccio andare subito per primo, poi noi seguiamo con calma, così fai quello che devi fare”.
Entro in acqua, assemblo il gruppo luci, eseguo i controlli. Enrico è preso con gli altri in barca, gli urlo per richiamare la sua attenzione, si volta e mi guarda. Alzo il braccio con il pugno chiuso e il pollice verso, segnalo che scendo. Ricevo un cenno d’intesa, scarico il gav, vado.

Quando scendo per fare questi “lavoretti”, terminata la discesa ho un pensiero ricorrente: “Caspita quanto è grande ‘sto relitto”, confesso, parto scoraggiato. Tra me e me mi dico: “Non ce la puoi fare, lo vedi anche tu che è troppo grande?”.
50 metri – 60 metri sono niente come distanza lineare, ma dovete invece visualizzare un parallelepipedo lungo 60 metri, largo 12 e alto 9, questo l’ingombro del Genepesca. Per mapparlo adeguatamente dovete spazzolare ogni centimetro di ogni lato (tranne la parte che poggia sul fondo). Il tutto con almeno un paio di passate.

L’ultima volta che ero stato qua era il 2018. Con il compagno di immersione dell’epoca avevamo trovato una visibilità maldiviana. Era possibile osservare in toto la forma di quella che una volta era stata “Il Genepesca”. Con quelle condizioni ci eravamo regalati il lusso di giocare a nascondino tra le lamiere. La luce era tanta e l’umore della situazione virato decisamente sul giocoso. Serbo un bel ricordo di quel tuffo.

Oggi la faccenda è diversa, il cielo è coperto, il relitto appare buio e la visibilità è limitata. E’ tutto molto tetro. Visibilità brutta, così brutta che le luci fanno schermo, come quando si guida nella nebbia, dovrò fare molta attenzione per tenere la distanza “giusta”.
Dispiego le luci, le ruoto a 90 gradi verso sinistra rispetto all’asse dello scooter, accendo la telecamera e imposto la macchina in time lapse. Iniziamo.

Sono finito adagiato sul fondo assieme al pedagno la cui cima abbraccia la murata. Davanti a me c’è la poppa, non posso vederla ma so che è la. Aziono lo scooter e mi muovo. Le murate sono la parte più noiosa, non hanno dettagli, o meglio ne hanno pochi. “Spazzolare” il relitto, vuol dire che dovete illuminare la parte che intendete riprendere con il cono di luce delle torce che vi portate dietro. E il cono di luce delle torce è limitato, se va bene un cerchio del diametro di 5 metri, se la visibilità buona, molto meno, se è come “oggi”.

Se stai troppo vicino non illuminerai una zona sufficientemente vasta, sei troppo lontano le luci non riusciranno ad illuminare adeguatamente le lamiere. La murata si stringe e si incurva verso l’alto. Sto arrivando a poppa. Ecco, vedo il timone e vedo che l’elica manca. I racconti dicono che sia stato fatto un tentativo di recupero, ma che il cavo si sia spezzato, portando il pesante manufatto ad andare perduto sul fondo.


Mi infilo sotto la poppa e sfilo curvando a sinistra. Adesso sto seguendo la murata di dritta verso lo squarcio di prua, eccolo. Qua un tempo c’era la prua, ma l’esplosione della mina l’ha strappata completamente, facendola affondare ad una 50ina di metri dal punto in cui sono.

Giro sempre spalla sinistra , passo lo squarcio di prua e mi ritrovo più o meno dove ero partito, ma questa volta sono 3 metri sopra. Riesco ad inquadrare la battagliola. Rifaccio un altro giro completo e poi un altro ancora. Guardo il timer, siamo a 30 minuti. Inizio a fare i “transetti” sul ponte. Il primo sulla murata di dritta, arrivo a poppa dove è presente una piccola struttura.

Giro su me stesso e rifaccio un passaggio, questa volta rimanendo più centrale . E poi un altro e un altro ancora, terminando più in alto sulle battagliole della murata di sinistra. Più o meno da dove sono partito.
Con la coda dell’occhio vedo sfilare un gruppo in scooter dei miei compagni di gommone, sono diretti verso la Prua. Oggi io rimarrò qua. Passano Alberto e il suo buddy a dare un’occhiata a quello che faccio. Sono presissimo, ma attraverso la maschera gli faccio un occhiolino.

Sul Genepesca. Immagine cortesia di Alberto Iacono

Non ci si immerge mai nello stesso fiume e neanche sullo stesso relitto. Mi rendo conto che la forma della motonave non è quella che conoscevo. La sovrastruttura, visibile nell’ultimo tuffo nel 2018, adesso invece è collassata. Un vero peccato. Lo scotto che si paga per la profondità scarsa.

Lo stress delle mareggiate riesce a farsi sentire anche qua. La luce che a queste quote riesce a penetrare stimola la vita che ferocemente divora le strutture in metallo. E’ un po’ triste, ma è inevitabile. Comprendere la fragilità e l’evanescenza di questi artefatti, mi rende consapevole di essere un privilegiato. C’è solo un breve istante di tempo in cui tutto questo può essere osservato e io vi sono dentro.
Continuo il giro e verso il 55 esimo minuto chiudo i percorsi che volevo coprire. Controllo la quantità di back gas disponibile. Ce ne sarebbe per farsi un altro giro, ma poi ho un pensiero per quelli su in barca che mi stanno aspettando. Credo che per oggi possa essere più che sufficiente. Stacco dal relitto e data la quota e la miscela respirata i minuti accumulati di decompressione sono solo una manciata.

Il risultato della scansione

Ho avuto bisogno di quale giorno per mettere assieme le circa 7000 immagini che compongono il modello. Ho fatto un po’ di fatica perché le condizioni di visibilità non erano proprio ottimali, ma alla fine di tutto questo avevo il modello . Ora io ho fatto 5 tuffi su questo relitto 3 nella decade 2000-2010, uno nel 2018 e questo. Ricordo un sacco di dettagli, le serpentine di congelamento del pescato nelle stive, i finestroni, il fumaiolo, il timone, ma non sono mai riuscito a raccapezzarmi sulla forma e la disposizione effettiva delle parti del relitto. Invece ora, potendo guardare il modello, finalmente per la prima volta capivo come era fatto il Genepesca. Vedere quello che non siamo riusciti a percepire in acqua, quello che abbiamo guardato ma non abbiamo visto. In questo l’occhio della telecamera unito al lavoro di sintesi del computer produce quel valore aggiunto che dà un senso a tutta la fatica fatta per raccogliere le immagini e poi processarle.

Ed ecco qua sotto: il Genepesca.

La forma della nave visibile. Dove prima era la prua, le lamiere si interrompono nettamente evidenziando lo squarcio.

Bisogna ammettere che però è il relitto è ormai la rovina di quello che è era, lo sovrastruttura è completamente collassata e lo si vede guardando al tutto di taglio

Alcuni dettagli, ancora sopravvivono, tipo il nome scritto sul fumaiolo.

Riguardando il modello ho iniziato a chiedermi come fosse iniziata la rovina finale di questo relitto.

Per fare questo sono andato a cercare delle fotografie del relitto precedenti al collasso della sovrastruttura. In questo mi ha aiutato Andrea Neri che ha fornito dal suo archivio questa bella immagine che vi propongo sotto.

Foto: Cortesia Andrea Neri
Foto: Cortesia Andrea Neri

La foto è presa sulla verticale del relitto e ritrae il fumaiolo e in basso la parte posteriore del ponte di comando. Confrontandola col modello è possibile individuare il punto di collasso.

Più o meno dietro il fumaiolo, la struttura è andata giù, inclinando il fumaiolo all’indietro e traslandolo verso sinistra. La parte posteriore del ponte di comando ha seguito questo movimento ed è venuta giù come in castello di carte. Guardate come si è mosso nell’immagine sotto il rettangolo in verde
In rosso , con le frecce, le direttrici delle linee di collasso, in verde le parti corrispondenti nelle due immagini.

Particolare interessante, è come la canna del fumaiolo si sia sfilata “indenne” dal collasso della struttura che lo conteneva. La sommità del fumaiolo è quel poligono verde indicato dal numero 2, mentre la canna vera è propria è indicata dal numero 1 e la vediamo adagiata sul lato di sinistra. Questo fa pensare che il crollo sia iniziato dalla parte posteriore, per poi essere seguito del cedimento del ponte di comando.

Questo ciò che rimane del Genepesca, documentato con tecniche di fotogrammetria.

Il modello generato da questa scorribanda è il risultato dell’elaborazione di un collage di 7000 immagini. 2000 fotografie di una RX100 Sony e 5000 immagini estratte dal video di una GoPro.

In retrospettiva, la responsabilità di un modello con “buchi” e parti “indistinte”, come visibile nelle foto, è dovuto principalmente a due fattori: alla scarsa visibilità presente quel giorno, che ha influito sulla nitidezza della immagini raccolte e alla “destrutturazione” delle parti collassate. Il relitto in quei punti è ricco di anfratti che dovrebbero essere propriamente illuminati per poter ricostruire la superficie. In questo caso bisognerebbe fare un altro giro. Purtroppo al momento non sono a conoscenza di diving che organizzino tuffi sul relitto. In futuro, chissà.


Ogni modello ha richiesto circa 4 giorni di elaborazione, ne ho fatti un po’ prima di trovare una quadra accettabile. Il rendering Blender allegato ha impiegato circa 22 ore.


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